Sono state inaugurate domenica 11 gennaio 2015 le prime tre pietre d’inciampo a ricordo della Strage dell’Hotel Meina.Sarebbe stata una bella festa di compleanno quest’anno per Becky Behar. A pochi giorni dall’86 compleanno dell’ultima sopravvissuta della Strage del Lago Maggiore, Meina ha ricordato le tre vittime più giovani del primo eccidio di ebrei in Italia. I tre fratelli Fernandez Diaz – Jean, Robert e Blanchette – erano diventati amici di Becky in quella fine d’estate del 1943. Ora i loro nomi oltre che ad ornare i muri della scuola elementare di Meina, resteranno per sempre impressi sul lungolago a memoria di quelle giovani vittime.

Alla cerimonia di inaugurazione, domenica 11 gennaio sul lungolago di Meina, erano presenti alte cariche dello Stato, della Regione e i Sindaci dei paesi vicini. Il resoconto della mattinata lo lasciamo fare ai video.

Ecco il video in due parti dell’inaugurazione delle prime pietre d’inciampo sul Lago Maggiore 

[youtube id=”_G7qh-NsImY” width=”580″ height=”337″]

 

Noi facciamo un passo indietro, andiamo a sabato 10 gennaio, quando Gunter Demnig ha posato le tre pietre d’inciampo sul pontile dell’imbarcadero. Ci torniamo grazie ad un resoconto della professoressa Elena Mastretta, insegnate distaccata all’Istituto Storico della Resistenza di Novara e del V.C.O.

“In una soleggiata mattina Gunter Demnig, l’artista delle Stolpersteine, si affaccia all’imbarcadero di Meina, guarda il lago e poi l’area dove sorgeva l’hotel Meina, ultima dimora delle sedici vittime di religione ebraica trucidate tra il 22 e il 23 settembre 1943 dopo essere state imprigionate all’interno dell’hotel, nel quale si trovavano per ragioni differenti, la settimana precedente, quando un manipolo di SS tedesche giunse nella zona. Sta scegliendo il luogo dove posare le prime “pietre di inciampo” per le vittime più giovani: Robert, Jean e Blanchette Fernandez Diaz.

Abbiamo approfittato della sua presenza per porgli alcune domande “Come è nata l’idea delle pietre di inciampo?” 

[youtube id=”5_9bcXY7WQ0″ width=”580″ height=”337″]

Gunter, come aveva già fatto la sera precedente al suo arrivo, spiega che l’idea è arrivata nel 1993: in quell’anno era stato invitato a Colonia per una sua installazione sulla deportazione di cittadini rom e sinti. Demnig ha colto l’occasione del 50° anniversario della deportazione del 6 maggio 1990, per dare una traccia di colore al percorso attraverso il quale le vittime sono state portate via dalle loro case.

Nell’occasione una signora presente tra il pubblico obiettò che mai a Colonia erano vissuti rom: poté farlo, contro ogni evidenza storica, in quanto sappiamo che nel maggio del 1940 dalla città furono deportati ben mille rom nel’ambito di un’operazione del Reich che includeva anche mille deportati da Amburgo e Brema, mille da Colonia, Düsseldorf, e Hannover e 500 da Stoccarda e Francoforte. La deportazione di Lublino si svolse come previsto, cioè senza che la popolazione reagisse. I rapporti di polizia successivi hanno rivelato che altri 300 erano stati “evacuati”, portando il numero totale dei deportati a 2.800.

Dopo questo episodio, Demnig decise di dedicare tutto il suo lavoro successivo alla ricerca e alla testimonianza dell’esistenza di cittadini scomparsi a seguito delle persecuzioni naziste: ebrei, politici, rom, omosessuali. Le prime pietre furono installate proprio a Colonia nel 1995.

Demning, nel suo racconto, insiste molto sull’indifferenza che caratterizzò questa deportazione: “non si può affermare che non ci fossero Gipsy a Colonia, abitavano in una casa su due: ma sono scomparsi fisicamente e nella memoria degli abitanti”. Da qui l’idea di non costruire monumenti collettivi per mantenere questo tipo di memoria perché “ce ne sono e la gente può decidere se andarci oppure no. Le pietre di inciampo, invece, hanno la caratteristica di restituire l’identità a ogni singola vittima, perché si realizza una pietra per ogni persona e la pietra viene messa vicino a casa sua. Così, non è possibile non rendersi conto di quanto fosse diffusa la presenza di gipsy, come di ebrei. A Colonia come in molti posti se si posassero tutte le pietre alcune vie ne sarebbero completamente ricoperte. Le persone vedono la pietra, possono decidere di fermarsi a leggere, a riflettere”.

L’opera d’arte a cui si affida la memoria con il progetto delle Stolpersteine, infatti,consiste in una piccola targa d’ottone della dimensione di un blocchetto di porfido (poco meno di 10 x 10 cm.), posta davanti alla porta della casa in cui abitò il deportato, sulla quale sono incisi il nome della persona deportata, l’anno di nascita, la data e il luogo di deportazione e la data di morte, se conosciuta. Questo tipo di informazioni intendono ridare individualità a chi si voleva ridurre soltanto a numeroL’espressione “inciampo” deve dunque intendersi non in senso fisico, ma visivo e mentale, per far fermare a riflettere chi vi passa vicino e si imbatte, anche casualmente, nell’opera.

Abbiamo poi domandato a Gunter se conoscesse, prima che lo contattassimo, l’Olocausto del Lago Maggiore e la risposta è stata negativa. “E che cosa l’ha colpita di questa strage, rispetto alle molte su cui ha indagato in precedenza?”.”E’ molto diversa: mi ha colpito il fatto che queste persone non si trovassero nelle loro case, ma in un albergo” e ha poi aggiunto che le particolarità della strage nel suo complesso, oltre che quelle dell’episodio meinese, sono molto differenti da tutti gli episodi che ha studiato in precedenza, cosa che ha molto attirato il suo interesse di ricerca.”

La posa delle pietre d’inciampo

[youtube id=”CJYQuukEQVo” width=”580″ height=”337″]

 

Queste prime tre pietre sono, infatti, un primo passo verso l’apposizione di 16 opere sul lungolago – una per ogni vittima della Strage del Lago Maggiore a Meina. L’obiettivo dell’amministrazione meinese e dell’Istituto Storico è quello di allargare l’iniziativa alle amministrazioni del lago Maggiore, creando un polo di pietre d’inciampo tra i più numerosi in Italia.

PUBBLICITA\'